George Saunders - Bengodi e altri racconti

Accennavo, qualche post fa, al book club che ho con una delle mie nicchie prefe dell’internet: uno dei motivi per cui mi piace un sacco è che mi fa uscire dalla mia comfort zone letteraria.

Ho le idee piuttosto chiare su cosa mi piace leggere e cosa no, e so chiaramente cosa evitare, anche se a volte ci provo a ricredermi e vengo puntualmente deluso, ma la letteratura è un mondo così sconfinato che sicuramente esistono tonnellate di generi autori categorie nicchie libri cose di cui non sono a conoscenza e magari mi piacciono, magari mi fanno cagare, magari nessuna delle due ma mi fanno riflettere o mi fanno scoprire punti di vista nuovi.

In un mondo bollificato dagli algoritmi che ti propongono quello che sanno che ti piacerà, una risorsa del genere è enorme.

Per esempio, io George Saunders in libreria non me lo sarei neanche mai cagato, e invece, complice il fatto che il book club si è orientato verso le raccolte di racconti perché richiedono meno impegno di un romanzone, eccoci qua:

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Non avevo idea di chi fosse né di cosa scrivesse, quindi come dicono quelli bravi ho affrontato i suoi racconti completamente blind: mi sono piaciuti? Non mi sono piaciuti? Li consiglierei? A chi?

Anzitutto diciamo che George Saunders, anche tradotto, scrive veramente bene ed è, effettivamente, come mi era stato detto, un maestro del racconto breve: nella maggior parte dei casi in poche pagine riesce a tratteggiare a sufficienza i personaggi, il contesto in cui si trovano e quello che accade loro, senza dilungarsi troppo ma evitando anche di essere superficiale; ti dice esattamente solo quello che serve, niente di più e niente di meno, non hai mai la sensazione di star leggendo qualcosa di messo lì solo per allungare il brodo né che succeda qualcosa che non è stato adeguatamente introdotto o liquidato in fretta e furia.

Il tema dei racconti, almeno in questa raccolta, è sempre lo stesso: americani postcapitalisti lavorano in parchi a tema (o simili) con le rievocazioni storiche e la loro vita fa schifo, e soprattutto le persone che hanno attorno fa schifo.

Niente di nuovo in fondo, molta letteratura americana recente affronta lo stesso tema, da David Foster Wallace a McCarthy, a cui Saunders viene spesso paragonato (e capite che già solo giocare nel campionato di quei due lì significa non essere esattamente l’ultimo degli stronzi) e soprattutto a Palahniuk, che nei parchi a tema con le rievocazioni storiche ci ha letteralmente ambientato uno dei suoi romanzi più famosi, Soffocare.

Ecco, dovessi descrivere questi racconti direi che sembrano un Soffocare che la tira molto meno lunga e, soprattutto, molto molto meno ottimista: non che Palahniuk sia esattamente uno che ti dà speranza nel futuro, ma qui la tragedia è davvero enorme e ineluttabile, sempre, si finisce sempre malissimo e non c’è un cazzo che si possa fare.

Tutto questo, però, scritto con uno stile affilatissimo, con delle immagini davvero belle nel loro essere tragiche e, soprattutto, con la durata giusta: se proprio volessi trovargli una pecca, la “title track” del libro, che è più un romanzo breve che un racconto, è infatti l’unico a essere troppo lungo, e si vede che Saunders non è nel suo.

Pur essendo comunque molto gradevole, sembra più una collezione di episodi uno dopo l’altro relativamente slegati ma con gli stessi personaggi e lo stesso contesto, col risultato che quando poi arriva il finale non è devastante e definitivo come quello degli altri racconti più brevi, come se a un grandissimo autore di cortometraggi si facesse scrivere una serie di episodi collegati tra loro e lui, per la foga di avere una trama di più ampio respiro, non riuscisse a essere sintetico e ineluttabile come suo solito.

Sto comunque guardando il capello, eh, è comunque un gran bel libro e sono contentissimo di averlo scoperto.

Tre stelle e mezza su cinque.