Neil Gaiman mette pesantemente in crisi la mia idea di “separare l’opera dall’autore”.
È venuto fuori, relativamente di recente, che pare sia una persona orribile, ma cazzo, se scrive bene: non è come JK Rowling che è una persona altrettanto orribile ma ha scritto dei libri meh con del buon marketing, nè come King che scrive da paura ma è “solo” matto in culo, è proprio che la sua persona letteraria e quella umana stanno agli antipodi.
Oltretutto, al di là delle vicissitudini personali, è un autore eccellente non solo per me, ma anche per le letture con il Filo, di cui fa parte l’ultimo libro che abbiamo letto assieme prima di dormire:

Rispetto alla media, questo è un Gaiman “minore”: è scritto a quattro mani (ok, anche “Good Omens” è scritto a quattro mani, ma con un altro semidio della letteratura), è piuttosto fuori dalla sua comfort zone, visto che è più verso la fantascienza che verso il fantasy e ha avuto una gestazione travagliata, scritto inizialmente come pilota per una serie tv, archiviato in un cassetto per anni e poi recuperato, ma anche scrivendo con la mano sinistra e bendato Gaiman porta a scuola tutti.
Per il Filo era forse un po’ “troppo”, nel senso che è più uno YA che un libro per bambini, e infatti spesso ho dovuto interrompere la lettura per spiegargli qualche parola troppo complicata per lui, ma anche così è stato molto positivo per due motivi: anzitutto è stato quello che in termini tecnici si chiama “aspirational” per lui, gli è piaciuto perché (deduco io, lui ovviamente non è ancora in grado di argomentarlo) lo ha trovato stimolante intellettualmente, ma ci ha anche dato l’occasione per condividere momenti di riflessione post-lettura.
Proprio perché la vicenda narrata è relativamente complessa per un giovine di otto anni e mezzo, ogni sera, finito di leggere abbiamo ripetuto assieme cos’avevamo letto la sera stessa e tutta la vicenda fin lì, aggiungendo quindi un’ulteriore storia dopo la storia e una sorta di mini book club in cui commentavamo assieme i capitoli del giorno.
Ma di cosa parla?
Di mondi infiniti, appunto: la premessa, come spesso accade con Gaiman cliché ma neanche troppo, è che a ogni decisione importante l’universo si divide e nasce un universo nuovo, e che tutti gli infiniti universi esistenti si dispongono su un arco, con gli universi dove la scienza comanda a un estremo e quelli dove regna la magia all’altro.
Ovviamente i due estremi sono in guerra tra loro per il dominio su tutti gli universi, e il protagonista si trova preso in mezzo e coinvolto da una terza fazione, di ribelli tutti suoi omologhi dei vari universi, che cerca di mantenere l’equilibrio senza far prevalere nessuno nonostante entrambe le fazioni cerchino di ucciderli per usarli come fonti di energia.
Fra l’altro, verso la fine del libro c’è la più bella definizione del rapporto tra scienza e magia che abbia mai letto: dice, in sostanza, che la magia è quella cosa per cui tu dici all’universo come deve comportarsi, mentre la scienza è quello che succede quando è l’universo a dire a te come si comporta e tu ti comporti di conseguenza.
Mille avventure, morti, colpi di scena e peripezie dopo, arriva un finale un po’ tirato e un po’ troppo aperto, che però è coerente col fatto che doveva essere un primo episodio che presenta una squadra di personaggi e il conflitto a cui prendono parte: la squadra è presentata ma non troppo approfondita, il conflitto c’è ma non è risolto in maniera definitiva (anzi, la fazione “della scienza” praticamente non compare se non di sfuggita) e ti resta un sacco di voglia di sapere come va avanti.
Purtroppo però, visto che il libro è uscito già da un po’ e, soprattutto, visto che Gaiman credo abbia altro a cui pensare ora, dubito che lo sapremo mai.