In precedenza si parlava della mia wishlist di Amazon e del suo essere sterminata e popolata di cose che non mi ricordo neanche come ci siano finite, ma esiste anche un altro insieme di libri che vedo spesso in libreria, mi attirano, ma non a sufficienza da finire anche solo in wishlist, figurati nella mia libreria.
La saga di Blackwater è uno di questi, se non altro perché le copertine sono, indubbiamente, molto belle e il formato tascabile ha un suo perché:
Per un motivo o per l’altro, però, non mi ero mai convinto ad avvicinarmici, e mi ero limitato a dire “ah si, pare interessante ma niente di che”, fino a quando una delle mie nicchie di amichetti dell’Internet e il suo book club associato me l’hanno proposto, e io non me lo sono fatto dire due volte.
Al di là della copertina e del formato, ne sapevo poco: solo grazie al book club in questione ho scoperto che l’autore ha lavorato anche alle sceneggiature di Beetlejuice e Nightmare before Christmas, e ha ricevuto grossi elogi da Stephen King (che ormai però sto iniziando a pensare che siano come gli elogi di Guardiola), per cui nonostante l’ambientazione non mi attraesse granché, mi ci sono tuffato dritto e l’ho finito in boh, quattro giorni? Cinque? Molto poco, comunque.
Mi è piaciuto?
Insomma.
L’ambientazione, appunto, non fa per me, non ho né una connessione né una fascinazione per gli Stati Uniti di inizio novecento.
Ma l’ambientazione non è tutto, si sa: l’intreccio, i personaggi, la storia, le cose, come sono in questo primo, di sei e non oltre, giacché l’autore non è più tra noi?
Meh.
Diciamo, riassumendo, che è evidente che è il primo libro di una serie lunga: i personaggi sono abbozzati, non si descrive in dettaglio perché fanno quello che fanno, cosa pensano, da dove arrivano - nel caso di uno dei personaggi principali, poi, il mistero su tutto ciò è praticamente il fulcro della sua esistenza - e le interazioni tra di loro sono rapide e piuttosto superficiali.
Alcuni personaggi si odiano, alcuni si attraggono, due si sposano, e succede tutto pimpumpam, rapido, serrato, come in una soap opera in cui in una puntata c’è un matrimonio e in quella subito dopo c’è un funerale perché se no le sciure perdono l’attenzione: oltre a questo, diciamo che le trame in cui delle sciure si guardano in cagnesco e si fanno i dispetti non sono proprio il mio, per usare un eufemismo.
Certo, c’è la componente weird-forse-soprannaturale-forse-boh-forse-ommeoddeeo, ma è accennatissima e buttata lì giusto per incuriosirti a leggere i libri successivi, visto anche che il finale è tutto meno che conclusivo e anzi, sembra il finale del pilota di una serie che ti dice “oh guarda qua quanti casini ci sono, pensa che delirio succederà nelle puntate successive”, ma se le conseguenze del delirio sono, per l’appunto, due sciure che si guardano in cagnesco, non mi sento proprio attratto a leggere i libri successivi.
Sullo stesso stile, in tema “sciure che si fanno i dispetti in un contesto bizzarro e soprannaturale”, “Orgoglio e pregiudizio e zombie” sta dieci spanne oltre (e pure non è un capolavoro), questo è un discreto librettino ma nulla di più.
Una stella e mezza su cinque.