Chiedi a Iwata

Gioco ai videogiochi in maniera piuttosto assidua da boh, trentacinque anni, quindi Nintendo è ovviamente uno dei brand della mia vita e una delle più grandi influenze sul mio immaginario.

Satoru Iwata, quindi, è uno dei principali responsabili della mia formazione culturale, e di questo libro che ne raccoglie il pensiero avevo letto commenti entusiasti.

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E invece boh, è un librino, inevitabilmente molto frammentario e dispersivo perché non è neanche un libro ma una raccolta postuma di scritti, oltretutto scritti originariamente in una lingua difficile da tradurre (come si dirà in giapponese “salvare capra e cavoli”?) e non con l’intento di tramandare ai posteri il proprio pensiero ma con intenti variegati.

In questo è molto simile al libro che raccoglie le recensioni di Hideo Kojima, “Il gene del talento e i miei adorabili meme”, che infatti è altrettanto ondivago e incoerente ma leggermente più a fuoco: questo, invece, è uno zibaldone di pensieri casuali di un tizio ok, importante, influente ma neanche poi, a giudicare almeno solo dagli scritti, chissà che luminare.

Paradossalmente, la parte più bella è il ricordo di Iwata che trasmette Shigeru Miyamoto, lui sì un luminare.

Due stelle e mezza su cinque.