Il fantasy italiano

Io mi rendo conto di avere un pregiudizio nei confronti di alcune categorie di letteratura e di contenuto, ne sono conscio, e non ne vado fiero.

Muoio istantaneamente di noia quando in televisione vedo un omicidio e qualcuno che investiga, perché da piccolo sono stato sovraesposto ai tenentecolombi perrymason signoreingiallo ispettoriderrick CSI e altri cloni assortiti e quindi ora mi vengono le pustole appena vedo qualcosa di anche solo lontanamente simile, ma soprattutto aborro, come il signore in diapositiva qui sotto, tutto tutto tutto il cinema, il 99% della televisione, la letteratura e (una grossa parte del)la musica italiani.

pic

È un pregiudizio, lo so, e per l’appunto non ne vado fiero, mi rendo conto che evitando a priori praticamente tutta la produzione culturale del belpaese magari rischio di perdermi qualche perla, però inevitabilmente, quando cerco di superarlo rimango deluso.

Ci sono eccezioni, notevoli: di recente, per esempio, ho letto “Il libro delle cose nascoste” di Francesco Dimitri (che però non so se vale, perché è stato scritto originariamente in inglese e poi tradotto e lui vive in Inghilterra da anni) e l’ho trovato meraviglioso, consigliatissimo, leggetelo assolutamente, e ho alcuni autori di riferimento che nonostante la nazionalità seguo assiduamente.

Morale, sull’onda dell’entusiasmo per Francesco Dimitri e per della gente del booktok che dice, in sostanza “è vero, il fantasy italiano era una merda una volta perché si è pubblicato un sacco di schifo post successo dei film del Signore degli Anelli, ma adesso è migliorato e c’è LA QUALITÀ”, durante uno dei miei ultimi giri in libreria mi sono fatto infinocchiare dal riassunto sulla sovraccoperta di un libro italiano, che prometteva una trama epica, un mondo descritto accuratamente e molto interessante e personaggi carismatici.

“Wow, dicci immediatamente di che libro si tratta, allora!” direte voi, miei affezionati lettori.

Ma no, mi rifiuto di dirlo, perché a pagina 80 ho ceduto, distrutto dall’assoluto, merdosissimo, vomitevole schifo che avevo letto fin lì.

Forse dovevo capirlo già subito, dalla mappona iniziale disegnata neanche troppo bene e dalle sei pagine di glossario prima ancora di iniziare il libro, come se fosse il 1950, come se descrivere il mondo in cui hai ambientato il tuo stracazzo di libro fosse troppo difficile e dovessi usare i disegnetti e i listoni anziché scrivere come fa uno stracazzo di scrittore, ma no, ho resistito, dai, non avere il pregiudizio, vedrai che poi migliora, ci mette solo un po’ a ingranare ma poi diventa bellissimo, mi aveva pure detto un tizio sul Tiktok in risposta a un mio commento non proprio entusiasta dei primi capitoli.

E invece.

Ora, io leggo praticamente indifferentemente in italiano e in inglese, ma sono ovviamente madrelingua italiano e ho studiato per anni l’italiano come prima lingua a scuola, quindi conosco (credo) (spero) piuttosto bene la grammatica italiana e le sue regole e ho (credo) (spero) un lessico sufficientemente vasto in italiano, per forza di cose più che in inglese, per cui è possibile che leggendo in inglese mi renda meno conto di eventuali imperfezioni nel testo e che quindi sia più difficile rompere la mia sospensione volontaria dell’incredulità, però questo libro è scritto veramente veramente veramente male, a un livello che ti fa pensare a più riprese “ma è del mestiere questo?”

La cosa poi è ulteriormente fastidiosa se ci aggiungiamo che questo libro è pure arrivato in finale a un fantomatico premio che mi aveva molto incuriosito, perché guardando sul sito (che non linkerò) si presentava come l’unico premio per la letteratura fantasy italiana, che oltre al premio in sè offriva ai partecipanti un percorso con un editor lungo tutta la durata del concorso letterario, in modo da migliorare ulteriormente la stesura iniziale.

Cioè, mi immagino che assoluto cesso dovesse essere prima, quindi.

“Eeeeeeh, ma come la fai lunga, che sarà mai”

Lo so, mi rendo conto di essere un grammarnazi e che forse, in alcuni casi, potrei anche chiudere un occhio quando vedo una virgola tra soggetto e verbo della frase principale, ma se sono immerso nella trama di un libro e leggo la frase “che <divinità> lo maledisse”, e la percepisco come stonata, e appoggio il libro per cercare su Google e confermare che in effetti “maledisse” è il passato remoto di maledire e la forma corretta, col congiuntivo imperfetto, era “che <divinità> lo maledicesse”, mi risulta davvero difficile farmi prendere dalla trama, soprattutto quando episodi del genere ci sono una pagina sì e una no: se non è un errore di questo tipo è un uso dei pronomi possessivi completamente a caso, per cui leggi un “suo” e devi rileggere il paragrafo quattro volte per capire suo di chi, e se per una fortuita coincidenza non ci sono errori grammaticali a farmi fare “huh?” c’è comunque tutto il lessico che è stato droppato nelle sei pagine di glossario senza avere una minima introduzione o contestualizzazione, per cui dovrei comunque fare avanti e indrera per capire che cazzo è questa parola che non ho mai visto prima.

Male.

Malissimo.

Queste ottanta pagine hanno rafforzato il mio pregiudizio sulla letteratura italiana contemporanea più di quanto potrebbe fare col cinema un’ora di Mastandrea e Stefano Accorsi che urlano (che è come nella mia mente sono tutti i film italiani): ho sempre evitato il fantasy italiano finora perché, anche pregiudizialmente, lo consideravo sciatto, mal scritto, banale e derivativo, e invece questo libro è stato molto peggio di così.

Zero stelle su cinque, ma pure meno, ma pure vaffanculo va.