Iona Rangeley - Einstein il pinguino

Da quando ho un figlio ho non una, ma due pile di libri da leggere; una è la mia, una è quella dei libri da leggere con (a) lui prima di metterlo a letto.

E proprio come la mia, anche la sua ha libri dalle provenienze più disparate, frutto di acquisti d’impulso in libreria o su Amazon o comprati perché ci piace l’autore (abbiamo già una discreta schiera di autori prefe, tra cui ovviamente Andy Griffiths ha un posto d’onore), oppure che sono finiti lì perché regalati da qualcuno.

L’ultimo libro che abbiamo finito, infatti, l’ha “portato babbo natale” a casa di mia zia:

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E dopo aver finito l’ultimo Andy Griffiths, appunto, avevamo voglia di una cosa più leggera: non che Andy Griffiths sia impegnativo, ma i suoi sono sicuramente dei libri “protagonisti”, che ti rimangono impressi per un po’ (ridiamo ancora un sacco pensando a Johnny Testadinocche), e invece a volte servono anche dei libri, diciamo così, minori.

“Einstein il pinguino”, diciamocelo, è un libro che non avrei nè avremmo mai comprato autonomamente: la copertina non è particolarmente flashy e le storie con gli animali non sono granché il nostro genere, e se abbiamo voglia di humor inglese moderato piuttosto ci leggiamo David Walliams o l’inesauribile Roald Dahl (ok immagino si capisca che il filo è più per l’umorismo scatologico e le schifezze che per gli albionici sogghigni in punta di fioretto), eppure, devo dire, il suo lo fa.

È un onestissimo librino, perfetto per l’età del Filo perché ha la giusta quantità di parole difficili di quelle che ti fermi e dici “lo sai cosa vuol dire?” e poi gliela spieghi, non è nè troppo facile tipo Geronimo Stilton che ormai se li legge tranquillamente da solo né troppo difficile da annoiarlo o da farmi venir voglia di tradurglielo al volo in un linguaggio più accessibile, cosa che invece mi è successa con una porcheria di un sedicente “Odissea per bambini” che era scritto in una lingua che in confronto Vincenzo Monti è accessibile.

La trama non è niente di che: è il classico tropo dei bambini che trovano un animale buffo, decidono di tenerlo ma devono tenerlo un po’ nascosto, per cui fanno un po’ di moderate peripezie e poi concludono che è meglio rimandarlo nel suo habitat naturale: praticamente la stessa della serie del ragazzo che coltivava i draghi (credo, non l’abbiamo finita quindi non so come finisce), di “Sharkdog” su Netflix e di mille altre cose che avrete sicuramente visto.

E niente, è praticamente tutto qui: non ci sono particolari guizzi, non ci sono elementi che lo rendano particolarmente degno di nota, ma si lascia leggere degnamente, si fa qualche mezza ghignata ma niente di che e non annoia.

Un perfetto intermezzo tra un Andy Griffiths e l’altro - e così vi ho pure mezzo spoilerato cosa stiamo leggendo ora che abbiamo finito Einstein.

Due stelle e mezza su cinque.