Sto lentamente iniziando a capire la letteratura coreana e il mio problema con essa.
Il booktok, l’Internet, e diverse opinioni che ho letto in giro dicono “oh cioè troppo bella la letteratura orientale, ha tutto con i contorni sfumati, le immagini sono appena accennate e i finali sono simbolici, è tutto delicato raffinato e stiloso anche quando tratta dei temi difficili brutti e lerci”, che è un modo come un altro per dire che i rapporti causa-effetto possono abbondantemente andarsene affanculo.
In questo libro, come in diversi altri di autori della stessa parte di mondo che ho letto ultimamente, le cose succedono perché succedono, e te lo devi far andare bene.
L’inizio è sempre in medias res, i protagonisti sono in una situazione difficile già da tempo e non sai perché o come ci siano finiti, se proprio si deve lo si accenna di sfuggita in mezzo ad altre cose, ma non interessa, interessa solo quello che sta succedendo ora, senza che ti si dica perché succede.
Quando poi, disgrazia vuole, ci sono dei personaggi secondari, qualunque cosa facciano la fanno, almeno per noi lettori, completamente a cazzo, perché non ci viene mai raccontato chi sono, da dove vengono e dove vanno: sono dei meri dispositivi narrativi che servono a far avanzare la trama, ripetuti deus ex machina che appaiono dal nulla, fanno quello che devono fare e spariscono da dove erano venuti.
Beh, direte voi, però alla fine almeno si scopre tutto, vero? Alla fine c’è un colpo di scena per cui la situazione difficile in realtà non era come pensavi e l’autore te l’ha tenuta nascosta sapientemente per fartela immaginare e poi toglierti il tappeto da sotto i piedi.
Ma quando mai.
Alla fine si risolve l’episodio del giorno, si vince (ma comunque mai in maniera netta) la battaglia ma il mondo resta sempre in uno stato aperto, non conclusivo, da finale della serie di Netflix che ti dice “si ok questa è finita ma se sculiamo e ci rinnovano per un’altra stagione ci teniamo delle porte aperte”.
Il libro in questione, invero un librino da 160 pagine che si legge in un paio di giorni (come pure gli altri due sopra, d’altronde), fa esattamente questo.
Sulla carta tratta un tema interessantissimo, quello delle persone che a furia di non essere viste da chi sta loro attorno tendono a sparire del tutto, diventando completamente invisibili al mondo, ma lo fa in maniera davvero superficiale.
Delle centosessanta pagine, una percentuale davvero cospicua è spesa nei monologhi interiori del protagonista belloccio, che dice esplicitamente, verso la fine, di essere una persona molto egocentrica, però tutto sommato della sua ossessione per i rumori non ce ne frega poi granché, visto che non ha nessun impatto sulla storia: se fosse stato fotofobico, avesse avuto la psoriasi o la sindrome del colon irritabile il libro si sarebbe svolto esattamente nello stesso modo, e passare così tanto tempo a sentire lui che rantola su quanto gli danno fastidio i rumori toglie, inevitabilmente, potenza al tema del libro.
Se passiamo tutto il tempo a sentire lui che parla dei cazzi suoi, poi il resto del libro non è più “un racconto ipnotico e struggente che parla di chi si sente trasparente ma trova il coraggio di tornare a esistere” come dice la sovraccoperta, ma è “meno male che c’è l’eroe belloccio come un idol K-pop che salva le persone dai cattivi”, e, francamente, potevo farne a meno.
Una stella e mezza su cinque solo perché per fortuna dura poco.